Una scritta blasfema tatuata sull’avambraccio di un autista di autobus della linea 500, che collega Anagnina a Torre Angela, ha scatenato polemiche e potrebbe costare caro al lavoratore. La foto del tatuaggio è diventata virale sui social, suscitando reazioni contrastanti e l’intervento dell’azienda. L’immagine è stata pubblicata su Welcome to Favelas il 10 settembre e ha subito attirato l’attenzione, arrivando fino ai vertici di Atac, che ha richiesto la sostituzione dell’autista alla società subaffidataria Autoservizi Troiani.
La frase tatuata, “Al p…o *** non c’è mai fine”, ha suscitato discussioni su vari fronti. Sebbene Atac non gestisca direttamente la linea, ha comunque preso una posizione netta, richiamando il proprio codice etico, che vieta comportamenti che possano danneggiare l’immagine della società.
La reazione del sindacato Usb non si è fatta attendere. Michele Frullo, rappresentante del sindacato, ha criticato l’eventuale sospensione o licenziamento del lavoratore, definendoli “esagerati” e proponendo come soluzione che il dipendente venga invitato a coprire il tatuaggio. Frullo ha sottolineato anche il problema della violazione della privacy dei lavoratori: le foto e i video scattati dagli utenti, spesso pubblicati senza il consenso degli interessati, mettono i dipendenti in una posizione difficile, privandoli della possibilità di difendersi o querelare l’autore dello scatto.
Episodi simili nel corso degli anni
Il caso dell’autista tatuato non è isolato. Negli ultimi anni, episodi simili hanno coinvolto altri autisti di autobus a Roma, spesso immortalati dagli utenti in comportamenti discutibili. Tra i precedenti più noti, un autista che guardava una partita di calcio, un altro che seguiva un film sullo smartphone e un conducente sorpreso a grattare un “Gratta e Vinci” durante il servizio.
Il sindacato spera che la vicenda si risolva senza conseguenze troppo gravi per il lavoratore, ribadendo che il semplice gesto di coprire il tatuaggio dovrebbe essere sufficiente a evitare ulteriori problemi. La situazione, tuttavia, pone un interrogativo più ampio sulla tutela della privacy e sull’uso dei social media per esporre situazioni lavorative, con conseguenze spesso imprevedibili per i dipendenti.