Ancora un suicidio a Rebibbia: 29 detenuti morti in 4 mesi

Suicidio nel carcere di Rebibbia: un uomo con disturbi mentali si toglie la vita. È il 29esimo caso nel 2025. Cresce l’emergenza nelle carceri italiane

Carcere

Il carcere italiano si trova di nuovo a fare i conti con un dramma silenzioso ma crescente: il suicidio di un altro detenuto, il ventinovesimo dall’inizio del 2025. L’ultimo caso si è verificato nel penitenziario di Rebibbia a Roma, dove un uomo di circa 40 anni, affetto da disturbi psichici, si è tolto la vita impiccandosi alla porta della propria cella. La tragedia, avvenuta nella serata di venerdì 18 aprile, è stata confermata da Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria (S.PP).

Subito dopo il gesto estremo, i detenuti hanno protestato duramente danneggiando la sala infermeria del carcere, a testimonianza di un clima ormai esasperato all’interno delle strutture penitenziarie. Di Giacomo ha denunciato l’urgenza di passare dalle parole ai fatti per prevenire questi eventi tragici, ricordando come il 2024 si fosse chiuso con un record negativo di 90 suicidi.

Emergenza psichiatrica dietro le sbarre

Uno dei dati più allarmanti è l’aumento dei suicidi tra detenuti affetti da disturbi mentali, cresciuti del 40% in soli due anni. Secondo il sindacato, si tratta di persone che non dovrebbero trovarsi in carcere, ma in strutture socio-sanitarie specializzate. Dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e l’introduzione delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), la situazione è peggiorata a causa del numero insufficiente di posti e dei lunghi tempi di attesa per i trasferimenti.

A mancare sono anche protocolli strutturati di collaborazione tra sistema sanitario e giustizia, fondamentali per garantire l’assistenza ai detenuti psichiatrici. Dove tali prassi sono attive, i risultati sono positivi, ma si tratta ancora di eccezioni.

Carenze strutturali e umane

Le criticità investono anche il personale presente nelle carceri italiane: medici, psicologi e psichiatri sono in numero insufficiente, denuncia Di Giacomo. Il sindacato propone da tempo soluzioni concrete: l’apertura di sportelli di supporto psicologico in ogni carcere, la promozione di attività sociali e lavorative, corsi di lingua per detenuti stranieri e la presenza di mediatori culturali e interpreti.

L’appello: basta lacrime di coccodrillo

Secondo il sindacato, è ora che l’amministrazione penitenziaria e la politica reagiscano con serietà e tempestività. Non basta l’indignazione postuma: servono strumenti concreti, risorse economiche e una riforma della sanità penitenziaria, se si vuole evitare il perpetuarsi di una vera e propria emergenza umanitaria.

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