Nel 2000, un operaio di 59 anni residente a Cisterna di Latina si presenta alla propria Asl di competenza accusando vertigini e difficoltà a camminare. Dopo gli accertamenti, riceve una notizia sconvolgente:
«Lei ha la SLA», gli comunicano i medici.
Si tratta della sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa grave e senza cura, che porta alla paralisi progressiva. L’uomo inizia subito un duro trattamento farmacologico, affrontando un percorso doloroso e psicologicamente devastante.
Dopo sei anni, la verità: era solo artrosi cervicale
Nel 2006, ormai provato nel corpo e nello spirito, l’uomo decide di sottoporsi a una seconda valutazione al Policlinico Gemelli di Roma. Gli specialisti scoprono che non si tratta di SLA, bensì di una mielopatia spondilogenetica, ovvero artrosi cervicale: una patologia curabile e gestibile, seppur invalidante.
La scoperta, però, arriva troppo tardi. L’uomo, già pensionato e afflitto da una profonda depressione, non riesce a reagire.
Il gesto estremo e la causa civile contro la Asl
Schiacciato da anni vissuti nell’angoscia e nella convinzione di una fine inevitabile, l’operaio decide di togliersi la vita. Poco dopo, la famiglia avvia una causa civile contro la Asl di Latina e il medico responsabile della diagnosi errata, assistita dagli avvocati Enzo e Valerio Moriconi.
Nel processo di primo grado, il tribunale riconosce la responsabilità della struttura sanitaria, condannandola a risarcire 148.000 euro agli eredi.
Sentenza definitiva in Appello: confermata la responsabilità
Nei giorni scorsi, la vicenda si è conclusa con la sentenza della Corte d’Appello di Roma:
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Confermata la colpa dell’Asl e del medico
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Ridotta l’entità del risarcimento da 148.000 a 120.000 euro in favore dei familiari
Un esito che, pur stabilendo le responsabilità, non cancella la tragedia di un uomo che ha vissuto per anni nel dolore e nella disperazione causati da un errore medico.